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Archive for the ‘poetici appuntamenti’ Category

A CHE SERVE LA POESIA

Insomma, la poesia, per tanti motivi, è l’ “oggetto” che meno si presta al consumo, non fa “divertire”, non si vende, non dà profitti(rari gli editori che investono qualcosa nelle opere di poesia), non “spiattella i fatti” già belli pronti e confezionati, non si presta alla propaganda…insomma, a che serve?a chi può interessare?
Non “serve” a niente, e questo è il suo limite, ma può interessare tutti, e questa è la sua inespugnabile forza, che spiega, tra l’altro, perché la poesia da sempre ha accompagnato le vicende umane.
da Nicola Lo Bianco, A che serve la poesia, inedito

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Vogliamo ribadire il senso che Crescenzio Cane ha inteso dare alla sua attività di poeta e di pittore , la matrice umana e tematica di quanto C. ha scritto nell’ arco di un quarantennio.

E tanto ci lascia in eredità:

L’innominato potere occulto oggi comanda il Paese”, l’ “emergenza” continua, suoni l’allarme contro chi attenta alla “nostra umana dignità”, perché il grembo di cui si nutre il fascismo (con o senza l’orbace) è ancora troppo fecondo.

E’ tempo di prepararci ad altra fede

 di sederci finalmente e ascoltare la nostra

sacra memoria collettiva di spulciare

 uno ad uno tutti i torti

senza paura svegliare i nostri morti

 e ascoltare finalmente i loro cuori.

 

Scrivere qui è una sacra maledizione

che mi porto per tutta la vita

è come una vergogna che mi fa

fuggire dalla gente per incontrarmi

con me stesso dove il tempo ritrovato

è come una malattia che chiede vendetta.

 

E’ sdegno perché questo terzo mondo

è l’immagine esatta che i ricchi vogliono

le mie parole desiderano essere armi

di quelle che un’antica sapienza

chiama coscienza intollerante tra

una rabbia che degrada e un minerale

parlante che eccita le coscienze

appunto sogni terribili e ragioni travolgenti.

 C.Cane, dalla  Memoria Collettiva, ‘87

 Presentazione Nicola Lo Bianco

Centro Studi Nicolò Barbato, Partinico(PA)

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NEL CAMPOSANTO
A mio padre

Non è vero che non avrai quiete
qui preso dall’ultima trappola
il riposo inappagato arroga solo
i fiori che di tanto in tanto
una mano callosa ti ricorda giovane.

Dov’è l’aria del giorno di festa
al porto di Napoli quando la fanfara
echeggiava dal ponte principale
tra tanta confusione pensavi subito
i tuoi nove figli oppressi dal regime.

Ancora non è mutato l’ultimo volto
che t’ha sostenuto alla caduta
credo poco di quanto mi è rimasto
da una cultura ridotta e combattuta:
la mia vita è ancora sotto schiavitù.

Dietro la nuova casa ora c’è l’orto
e il grano alto quanto un ragazzo
porta a pensare il mare sotto il sole
qui la nostra gente piegata in due
vi lavora sudando fame e disgrazie.

Cosa può fare un giovane proletario
cresciuto al margine del marciapiede
dove la lupara non certo anonima
ha fatto sempre la parte del leone?
Certamente il voto politico non basta.

Cosa sono le arance o i grossi limoni
lo zolfo o i calori del carretto
quando manca il lavoro e le scuole:
qui siamo nelle mani di quattro ladri
che hanno sempre optato per i potenti.

In questo luogo di vermi e di paure
il tempo scorre lento e taciturno
Pa tu oggi lo sai meglio di me
qui poi diventano tutti galantuomini
i fessi siamo noi che l’abbiamo bevuta.

Crescenzio Cane
palermo 1959

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“Se senti due pietre muoversi
è il cuore di Palermo
che respira aria di rabbia.
Se ti parlo di rivoluzione
oggi negli occhi si scontrano
tutti i problemi del mondo e
il cuore di Palermo va a pezzi.

CRESCENZIO CANE

(da IL CUORE DI PALERMO, Coll. r, 1980)

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CRESCENZIO CANE
O
DELLA NOSTRA UMANA DIGNITA’

Crescenzio Cane, l’amico, il poeta, il pittore, il combattente, lo scontroso, il diffidente, il polemico, l’ arrabbiato Crescenzio, l’autore della “sicilitudine”, ma anche l’ “ingenuo” Crescenzio, non è più tra noi:è morto giovedì 13 dicembre in polemica pure con la morte.
Resta che la poesia, la pittura, gli scritti in prosa di Crescenzio Cane sono un frammento vivo della storia di questa città e della Sicilia, e, attraverso di essa ed esemplarmente, del Sud nostro e altrui: dovunque c’è un Sud nel mondo questa storia gli appartiene.
La storia non Ufficiale, si capisce, omissiva e bugiarda, ma quella della periferia, poco visibile ed oggi più che mai oscurata, la storia degli emarginati e degli oppressi, quella dei poveri di fronte alla storia dei ricchi, quella di chi in definitiva la subisce la storia e alla fine ne paga il conto totale.
A partire dal dopoguerra la vicenda umana e poetica di questo nostro scrittore e pittore s’intrinseca con i grandi eventi che mutano la fisionomia del paese: la fame e la miseria, l’emigrazione, le grandi lotte popolari degli anni ’60 e ’70, la “mutazione antropologica”, l’indecenza degli anni ’80, la depravazione economica politica ed intellettuale degli ultimi venti anni.
I titoli delle sue principali pubblicazioni possono dare un’idea del percorso letterario, radicato in una precisa realtà e coerente alle scelte esistenziali dell’uomo: dal racconto-saggio “La sicilitudine” (’59) (termine coniato dal Nostro e non da Sciascia come erroneamente si crede e si scrive) a “La radice del Sud” (’60), dai “Papiri” (’65) a “Edicola concreta” (’68); e poi “La freccia contro il carrarmato” (’71), “La bomba proletaria” (’74), “Il cuore di Palermo” (’80), “Lettera alla Libertà” (’85), “La memoria collettiva” (’87), i racconti de “La strada di casa”, le poesie de “I miei ultimi settantanni” …
Coerenza e fermezza ideologica ( ideologia come trama di pensiero e punto di vista sociale, non come bieco ideologismo, per favore) che nel tempo probabilmente gli hanno nociuto.
Crescenzio era ed ha vissuto da proletario, aveva quattro figli, un modesto stipendio, viveva in una casa popolare a Borgonuovo Sud.
E’ stato, dal punto di vista delle scelte culturali, un autodidatta, lontano e alieno da fisime e combriccole letterarie, non faceva professione di letterato.
Per volontà sua propria, o per diffidenza dell’ambiente culturale, o per incompatibilità con il clima politico in atto, non so, da alcuni anni Crescenzio si era isolato.
Eppure la sua poesia e la sua pittura sono state accompagnate da contributi critici di notevole spessore: Barberi Squarotti, Davico Bonino, Zavattini, Sciascia, Anceschi, Buttitta, La Duca, Manescalchi, ecc. …
Per tutti valga la sintesi critica che trovo in un giudizio di G.Zagarrio:
.
L’ho scritto altre volte ed in contrasto con alcune interpretazioni, a mio parere, parziali e riduttive: non è l’“ideologia” a promuovere la scrittura di Crescenzio, ma la tensione alla liberazione, al riscatto personale e sociale.
E’ la pienezza e la dignità dell’uomo, quando e dovunque venga calpestata, ad accendere l’irrefrenabile impulso a tradurre poeticamente la rivolta dei sentimenti e il suo tormentato pensare.
Un modo forse per esorcizzare, per trovare un centro di gravità nel disordine di questo mondo, in ogni caso scrivere per Crescenzio non è un composè di parole fiorite, ma un’emergenza esistenziale e stilistica: . (“Viaggio intorno ai miei scritti”)
L’“impresa” del sapere si fa cosciente e determinata, scrivere .
Ma è anche un cruccio .Un “cruccio” che è poi la forza esplodente della sua poesia
Nel poeta Crescenzio Cane non c’è alcuna intenzione di formalizzare la vita, non c’è il perseguimento del “quoziente estetico”.
Egli vorrebbe anzi negarsi alla scrittura perché sa, appunto, che “non serve”; ma non può, pena il rinnegamento di se stesso e della classe sociale cui corporalmente appartiene.
Ciò che lo arrovella sta prima e dopo la parola scritta: il concreto della vita che è “emergenza” e perciò la scrittura non può che essere anch’essa “emergenza”.Assistiamo così al fascinoso paradosso di un linguaggio che si pone al limite tra il silenzio dell’oblio e la dirompenza dell’azione.
Tra il “silenzio” e l’“azione” rimane sospesa e inappagata l’aspirazione a un mondo liberato dall’ingiustizia e dalla protervia.

NICOLA LO BIANCO
dicembre ‘12

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ASCENSIONE

Una poesia di Nicola Amoruso

Il dono della poesia è che pur nello sguardo più straziato e più straziante, come il tuo, si avverte un sentimento di liberazione e una spinta alla libertà, che, naturalmente, non è la libertà dell’oggi e del domani, ma un’aspirazione metafisica, un’ “ascensione” a uno sguardo “senza zavorra”, da dove contemplare l’umana pochezza che è anche quella nostra, la mia e la tua.Il mio amico Nicola Amoruso questo dono ce l’ha.

Nicola Lo Bianco

ASCENSIONE

Ho cominciato il viaggio di ritorno

dopo la caduta, la mia ascensione

verso il marsupio dolce della notte.

In compagnia dei passeri sui tetti

come un suonatore di Chagall

osservo il vostro andare avanti e indietro

senza una meta, senza una ragione

ripetere parole consumate

(“Do you like tea? Yes I do”).

Prossima sosta il nido delle aquile

dove mi giunge appena percettibile

il brusio rotto delle vostre voci

(“Do…tea?…Yes…do”)

e vedo solo biglie colorate

in un apocalittico autoscontro.

Ormai senza zavorra alla deriva

dentro la mongolfiera delle nuvole

sempre più in alto fino a scomparire

immagino i vostri musi boccheggianti

(“I do, I do, I do, I do”)

dentro un acquario grande quanto il nulla.

NICOLA AMORUSO

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PASSERI

Una poesia di

NICOLA AMORUSO

 

PASSERI

Dalla grondaia all’ulivo e viceversa
frenetico l’andirivieni dei passeri,
resistono insaziabili di voli
fino all’ultimo lume del crepuscolo.
Poi si consegneranno ai loro nidi
ad aspettare l’alba.

NICOLA AMORUSO

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chiarite l’aria pulite il cielo lavate il vento
separate pietra da pietra e lavatele
separate la pelle dal braccio
separate il muscolo dall’osso
e lavateli.
Lavate le pietre lavate l’osso lavate il cervello
lavate l’anima lavateli lavateli
S.T.Eliot

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DESERT STORM

DESERT  STORM        

Difficile crederci

bambini anche loro una volta.

Chissà quali maestri avranno avuto

e cosa gli insegnavano in parrocchia.

Nell’archivio della Scuola Reale di Bagdad

ci sono ancora i suoi disegni:

agnelli al pascolo sulle rive del Tigri

e uccelli in volo.

L’altro invece

amava disegnare praterie

cerbiatti bianchi e allodole nel nido.

Chissà come hanno interpretato quei disegni

le rispettive équipe delle scuole

medico-psico-pedagogiche.

Non c’è poi tanto da meravigliarsi

anche il cucciolo del caimano fa tenerezza

anche Lucifero da bambino

era un putto bellissimo

mare negli occhi e miele nei capelli.

E a guardare le foto dei carnefici

in braccio ai genitori messi in posa

bravi bambini come tutti.

Poi si diventa grandi

e subito s’indossa una divisa

ci si schiera

si diventa clienti di qualcuno

s’imparano a memoria frasi fatte

(occhio per occhio – morire per la patria è bello assai)

badando soprattutto agli aggettivi.

Così la guerra è santa oppure giusta

le operazioni chirurgiche, le patrie sacre

bianca la civiltà e scura la barbarie.

Ultimo in ordine di tempo l’aggettivo

che hanno dato alle nuove armi:

intelligenti.

Ogni tanto qualcuna si distrae

e fa strage di donne e di bambini

di civili si dice.

E la retorica della pietà

si esibisce puntuale sullo schermo

col solito vocabolario di circostanza:

costernazione per il fatale errore

i ministri che provano disagio

poi lo sconcerto dei corrispondenti

l’imbarazzo della Casa Bianca

e il Pentagono che ordina un’inchiesta.

Donne e bambini uccisi fanno scandalo

solo se si dimentica

che esiste un solo scandalo: la guerra.

                NICOLA AMORUSO

poeta nicosiano

 celebriamo un 4 novembre contro tutte le guerre

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NIKOS GATSOS

Nikos Gatsos(poeta greco, 1911-1992)

Amorgòs (1943)

Anni ed anni ho lottato con l’inchiostro e il martello
tormentato amore mio
con l’oro e il fuoco per farti un ricamo
un giacinto d’arancio
un fiorito cotogno per consolarti

Quanto ti ho amato io solamente lo so
io che una volta ti toccai con gli occhi delle Pleiadi
e con la criniera della luna ti abbracciai
e danzammo nei campi dell’estate, sulla canna mietuta
e mangiammo insieme il trifoglio tagliato
nera grande solitudine con tanti ciottoli intorno al collo
tante colorate pietruzze nei tuoi capelli
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